Stanze 2001
ARDAU+CALÍ, Eric CHEVALIER, Antonello OTTONELLO

Centro Culturale Man Ray - Cagliari (9 novembre - 19 novembre 2001)

 

IMMAGINI



ARDAU+CALÍ

Eric CHEVALIER

Antonello OTTONELLO

IVO SERAFINO FENU


ARDAU + CALÍ

Titolo: Acqua, verde profondo
Installazione: stampa plotter su acetato, smalto, olio d'oliva
Dimensione: ambiente

Vischioso e irriverente è il liquido che cola dall'installazione delle giovanissime Ardau+Calì, avvolgente è, invece, la sua dimensione spaziale: una grotta, con tutte le valenze simboliche di cui, fin dalle origini, tale spazio è andato caricandosi sia in ambito cultuale, sia nella sfera inerente alla sessualità, sia, infine, nella psicanalisi, per la quale entrare nella grotta/caverna ha il significato di un ritorno nel grembo materno, una regressione nell'oscurità della vita prenatale, desiderata e rassicurante. Le due artiste, in un complesso gioco di rimandi, hanno costruito una grotta nella grotta, sovrapponendo strati di acetato stampati con delle enormi vulve colorate di un " verde profondo" di grande impatto visivo. Lo spazio, postmoderno e arcano, protettivo e umido, acquoso nel gioco di trasparenze e di riflessi, riacquista e amplifica così tutta la sua forza simbolica e archetipa. In esso il liquido amniotico si fonde coi più ostentati umori sessuali che si concretizzano, con disinvolta ironia, in reali colature di olio d'oliva. Un sapiente e disincantato gioco di generi artistici raffredda le immagini crudamente realistiche con procedimenti computerizzati, restituendo loro virulenza espressiva attraverso interventi pittorici manuali. Alternando un glaciale distacco a una forte partecipazione gestuale ed emotiva e caricando di esplicite e provocatorie connotazioni erotiche l'installazione, Ardau+Calì costringono lo spettatore a un intrigante rapporto empatico al quale è difficile sottrarsi. Come un gioco psicologico, le vulve/farfalle somigliano a incombenti macchie di Rorschach, capaci di far affiorare, quasi in un processo di automatismo psichico, aspetti profondi e oscuri della personalità di ciascuno, nonostante, nell'intenzione di delle artiste, non vogliano essere altro che l'esteriorizzazione fisica ed estetica di un processo tutto interiore e autoreferenziale. Una provocatoria rilettura della courbettiana Origine del mondo, seppure in un'ottica tutta interna all'universo femminile.

 

ERIK CHEVALIER

Titolo: La pioggia delle danze
Installazione: legno, ferro, terra, acrilici, video
Dimensione: ambiente

La pioggia delle danze è un'opera di forte impronta concettuale, giocata sull'inaffidabilità della percezione sensoriale di fronte alla quotidianità e ai suoi riti, un'inaffidabilità che genera equivoci, spaesamenti e ambiguità. La più scontata normalità, mummificata e ridotta a reperto probatorio, acquista un'insospettabile precarietà, tutto appare innocuo ma, in realtà, diventa possibile vettore di storie e memorie per niente tranquillizzanti. L'artista imbalsama oggetti d'uso comune quali coltelli da cucina, banconote, forbici e fogli stampati e li illumina con una comunissima lampada da tavolo. L'insieme, sciatto e trasandato quale può essere quello di una dimensione domestica, non ne possiede la rassicurante banalità. Tutto appare disposto con un ordine eccessivo e "sospetto" che rimanda ad altro, come ad altro, una verità sotto la crosta dell'apparenza, rimanda anche un simbolico vulcano di terra dal quale filtra una fioca luce rossastra. Gli oggetti sono "incriminati" e divengono latori di funzioni inedite. Sono messaggeri di riti collettivi anch'essi "criminalizzati" e dei quali parla, in uno dei frammenti cartacei depositato sul tavolo, l'antropologo Omar Falladhi quando osserva che "presso le popolazioni occidentali le cerimonie politiche e religiose dedicate alla speranza di un futuro migliore o alla salvezza dello spirito non hanno lo scopo di provocare miglioramenti o salvezza, ma di drammatizzare la dipendenza collettiva dalla speranza e, di conseguenza, rafforzare l'unità e l'identità del gruppo". Pertanto, come la danza della pioggia non intende chiedere la pioggia quanto, semmai, sottolineare la compattezza della comunità di fronte all'emergenza, così, La pioggia delle danze allude al un tentativo, vano e frustrante, di sottrarsi a tali riti collettivi per riacquistare la libertà della solitudine. Una conferma viene, in tal senso, dal video in cui compare un omino virtuale che cerca di uscire, anch'esso inutilmente, dal vicolo cieco nel quale si è infilato o è stato costretto.

 

ANTONELLO OTTONELLO

Titolo: Senza titolo
Installazione: bambù, latta, legno, ferro, terracotta, spago, ricci di mare, semi di mogano
Dimensione: ambiente

Da tempo Antonello Ottonello allestisce le sue installazioni utilizzando frammenti di realtà - in modo pressoché esclusivo elementi naturali -, ricontestualizzati e resi "artistici" tramite complessi e sorprendenti accostamenti. Senza cadere nell'ecologismo di maniera o in stucchevoli e modaiole situazioni New Age, per Stanze 2001 taglia diagonalmente la grotta lunga del Man Ray con una teoria di lance in canna di bambù assemblate in cinque gruppi di tre, negandone l'aspetto offensivo e caricandole, piuttosto, di un'improbabile e vagamente surreale dimensione araldica. Le lance reggono infatti terrecotte decorate e sagomate a mo' di arcaiche protomi animali, ricci di mare, bizzarri semi di mogano, pezzi di latta capricciosamente accartocciati e si prestano a una lettura polisemica: consapevoli citazioni di sculture di maestri del Novecento del calibro di Picasso e Mirò, dei quali recupero l'aspetto più ludico e vitalistico, fantastiche produzioni di un artista/bambino, insegne di oscure confraternite dedite a chissà quali culti misterici, o, forse, nella loro essenzialità, emblemi di una natura rinsecchita e ridotta a inutile simulacro di se stessa. E se quest'ultima, con la sua carica di negatività, fosse la prospettiva privilegiata, le lance e i suoi terminali assurgerebbero al ruolo di inquietanti correlativi oggettivi di montaliana memoria, come lo erano per il poeta di Ossi di seppia "il rivo strozzato che gorgoglia", "l'incartocciarsi della foglia riarsa", "il cavallo stramazzato" e, ancora, i suoi invalicabili muri con sopra i "cocci aguzzi di bottiglia", il "male di vivere" insomma. Così, al di là del più immediato rimando a una situazione di incombente e drammatica desertificazione ambientale, quest'installazione evoca ben altri "deserti" mentali e spirituali. Ma, pur enfatizzati da una dimensione in bilico tra metafisica e surrealismo, tali deserti sono riletti dall'artista con supremo distacco o, più precisamente e grazie alla vivificante acqua dell'ironia, con la lucida consapevolezza della "divina Indifferenza".